Paura del silenzio e della solitudine
Prima di entrare in monastero, conoscevo ben poco il significato del silenzio, e spesso scappavo cercando qualche via di fuga, stando al cellulare, collegandomi ai social network, o continuando a trovare qualcosa da fare pur di non percepire quel vuoto, quella solitudine che porta a contatto con sé stessi, scoprendo così anche le proprie fragilità, i propri limiti.
“Il silenzio non deve essere solo esteriore è possibile tacere anche quando l’animo è in tumulto, il vero silenzio significa anche calma del pensiero, del sentimento e del cuore, credo che tutto ciò sia un combattimento continuo nel volere rimanere e nel volere scappare dall’incontro con Lui e dall’incontro con sé stessi, nell’ascoltare i propri pensieri, interrogandosi da dove vengono questi pensieri, che origine hanno? Quali bisogni abbiamo?” (Guardini)
Per fare silenzio ci vuole determinazione, il che non è così spontaneo, ci vuole una volontà che nasce dall’esterno, cioè da spazi e luoghi non soffocati da rumori assordanti. Un’esperienza di silenzio che serve anche per riconoscere la mancanza o la presenza di quello interiore, aiuta a fare quello spazio necessario per metterci in ascolto dell’altro con cui viviamo, serve per imparare a stare saldi nell’ascolto della Parola, serve per scoprire la profondità di noi stessi, per imparare a riconoscere i propri doni o capacità, serve per scoprire che sono amato così come sono, serve come fonte per realizzare progetti grandi di bene. È il silenzio che apre la strada per uscire dal quel continuo mormorio interiore del nostro io che ci condanna e ci giudica senza mezza misura. È attraverso il silenzio che ho scoperto che non sono sola e che la vita può essere donata senza misura. Ho riscoperto la speranza che non delude, ma che mi fa andare oltre le mie aspettative.